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sabato 22 gennaio 2011

Bulimia,Valentina morire con 100 pasticche di potassio

Storia di Valentina, suicida a 27anni

Marie Caro, la madre della modella anoressica Isabelle Caro morta a 28 anni, si è suicidata alcuni giorni fa. Non ha retto ai sensi di colpa per la morte della figlia, che soffriva di anoressia dall’età di 13 anni. Isabelle Caro ha usato il suo corpo per la sconvolgente campagna “Nolita” per sensibilizzare l’opinione pubblica sul “male oscuro” di moltissime ragazze. Dalla Francia di Isabelle Caro e di sua madre all’Italia.

Valentina è morta agli inizi dello scorso ottobre. Ha chiuso alle sue spalle la porta della sua cameretta e tutto il suo mondo è rimasto fuori.

Valentina ha ingerito quasi cento pasticche di potassio. Erano la sua medicina, le consentivano di riprendere un po’ di energia dopo aver vomitato, permettevano ai suoi muscoli di non crollare del tutto. Vomitava spesso Valentina. Era bulimica. I suoi familiari hanno chiamato il 118. La corsa in ospedale, l’ambulanza a sirene spiegate, i medici che tentano di salvarla.
Aveva 27 anni, si era iscritta alla facoltà di pedagogia dell’università di Firenze. Voleva diventare dirigente di comunità per persone in difficoltà. Forse questo l’aiutava a combattere meglio la sua battaglia. Ma Valentina ha smesso di lottare. Nella sua ultima scelta di usare le medicine come strumento di morte, c’è un messaggio disperato per rompere il silenzio sulla bulimia. Un silenzio che avvolge un numero impressionante di ragazze che soffrono. Alcune statistiche, come quella della Sisdca, Società italiana per lo studio dei disturbi del comportamento alimentare, parlano di duecentomila ragazze italiane colpite da bulimia e anoressia.
Anoressia e bulimia nervosa sono la prima causa di morte per malattia tra le ragazze tra i 15 e i 25 anni. Si tratta di disturbi nervosi che alterano il comportamento alimentare. Le ragazze che soffrono di bulimia alternano tentativi di dimagrire con abbuffate e con il vomito indotto. Non pensate a ragazze enormi o particolarmente grasse. Valentina prima di morire pesava poco meno di 60 chili. Si matura un rapporto con il cibo pieno di paure e ossessioni, sensi di colpa che schiacciano e pranzi e cene “espiati” con il vomito.
Quello italiano è un dramma silenzioso. Spesso le famiglie quasi si vergognano di una figlia malata; questo a causa di un retaggio culturale che porta a considerare bulimiche e anoressiche come ragazze capricciose o tutt’al più malate mentali. E allora il dramma rimane chiuso nelle mura di casa. Un calvario fatto di cibo sotto chiave nelle dispense, di controllo continuo, di domande senza risposta. Anche la storia di Valentina è così. Papà Paolo ha lottato con la figlia fino all’ultimo. Racconta:  “Quando le chiedevo ‘Vale, cos’hai?’, lei mi rispondeva ‘Babbo, sto male, ma non so che cosa ho’”. La bulimia è un male dell’anima e della mente. Si mangia per distruggere il cibo, ma poi lo si espelle per non trattenerlo.
Inizia tutto per caso, quasi in sordinaBulimia e anoressia si presentano sottoforma di inappetenza momentanea. “Per mia figlia tutto è iniziato quando era una ragazzina. Aveva 15 anni. I primi segnali preoccupanti ho cominciato ad averli - continua Paolo - perché Vale beveva molta, troppa acqua. E poi un uso di olio esagerato”. È l’inizio di un percorso di sofferenze, di nuove speranze e di nuove delusioni, di questa malattia che fa un passo indietro e tre avanti. E di un sistema sanitario che, nonostante gli sforzi compiuti, ancora non è adeguato per fronteggiare bulimia e anoressia.
Un calvario nel calvario è il giro della speranza delle varie cliniche e dei vari ospedali specializzati nella lotta alla bulimia e all’anoressia. “Io- continua il suo racconto il papà di Valentina- per fortuna sono in condizioni economiche tali da aver potuto tentare diverse strade sanitarie per curare mia figlia”. Firenze, Milano, Vicenza. “Molti medici preparati- prosegue Paolo- ma anche molta impreparazione che lascia spazio al fai-da-te delle famiglie”.
Teneva dei diari Valentina, per descrivere e raccontarsi le diete, lo stato fisico ma, soprattutto, quello dell’anima. Lo scorso anno ha scritto una lettera, mai spedita, a Barbara D’Urso, la presentatrice di “Pomeriggio Cinque”, molto impegnata su questi temi. “Mi faccio schifo”, scrive Valentina. Alla luce di quanto è successo dopo, un monito per non lasciare nel silenzio le altre Valentine che soffrono nelle loro camere.