"Matteo sempre creduto nell'amore"
Toccante omelia durante i funerali a Roma del giovane alpino morto in Afghanistan. "Matteo Miotto aveva sempre creduto nell'amore, fino a dare la vita", ha detto l'arcivescovo militare Vincenzo Pelvi citando una lettera che il caporal maggiore aveva scritto al sindaco di Thiene. "Le parole di Matteo sono un messaggio che è diventato un profetico testamento capace di condensare la ricchezza umana che egli lascia a tutti noi", ha aggiunto.
I funerali del caporal maggiore degli alpini si sono svolti nella basilica di Santa Maria degli Angeli, a Roma. Le esequie di Matteo Miotto, ucciso da un cecchino in Afghanistan la mattina dell'ultimo dell'anno, sono state celebrate dall'ordinario militare, monsignor Vincenzo Pelvi. La bara, avvolta nel tricolore, ha lasciato la basilica portata a spalla da sei alpini del 7/o reggimento di Belluno, il reparto di Matteo. In precedenza mons. Pelvi aveva benedetto il feretro e salutato i genitori dell'alpino, affranti. Un applauso ha accolto l'uscita della bara dalla chiesa, in piazza. Al primo caporal maggiore sono stati resi gli onori, ancora una volta. Poi la bara è stata sistemata nel carro funebre, alla volta del Veneto, la sua regione.
"Un profetico testamento"Il caporal maggiore per il giorno della Festa delle forze armate, il 4 novembre, ''aveva scritto una lettera al sindaco di Thiene sulla sua esperienza in Afghanistan. Un messaggio che inaspettatamente è diventato profeticamente testamento, capace di condensare la ricchezza umana che egli lascia a tutti noi''. E' uno dei passaggi dell'omelia dell'arcivescovo militare durante la celebrazione dei funerali del giovane alpino. Di Matteo, Pelvi ha ricordato ''l'amore alla vita, l'amore per ogni vita, quella dilatazione del cuore ordinata e virile, che si riversava su coloro che avvicinava, anche nelle inevitabili angustie e tra gli spettacoli più angosciosi dell'Afghanistan''. Si tratta, ha aggiunto Pelvi, ''di una realtà interiore, di una felice dimensione della sua personalita''', e dei sentimenti e ''della fede schietta dell'alpino, sempre pronto a spezzare il suo corpo come fosse pane e distribuirlo ai piccoli abbandonati''. L'ordinario militare ha ricordato l'esperienza di Miotto ''alla scuola di don Gnocchi'', dove ''Matteo aveva imparato che non possiamo dare vita ad altri senza dare la nostra vita''. Matteo, ha aggiunto, ''ha sempre creduto nella giustizia, nella verità e nella forza interiore della compassione, nella fiducia e nell'amore fino a dare la vita''. Da questo giovane, ha concluso Pelvi, arriva un invito ''a non cedere allo sconforto e alla rassegnazione''.
"Morto per la pace"''Il nostro Matteo è stato chiamato a partecipare all'umana solidarietà nel dolore diventando un agnello che purifica e che redime secondo l'amorosa legge di Cristo, un sacrificio offerto per il dono della pace'', ha detto il vescovo militare Vincenzo Pelvi. ''La sua bara, avvolta nel Tricolore, è come una piccola ma preziosa reliquia della redenzione che si rinnova nel tempo''. Rivolgendosi direttamente al giovane, concludendo l'omelia, Pelvi ha detto: ''carissimo Matteo, a nome della nostra patria, di tutti i tuoi amici, degli alpini, di coloro che ti hanno voluto bene e che tu hai tanto amato, noi di diciamo grazie, angelo del dolore innocente, per averci resi tutti capaci di bontà, di amore e di speranza e per avere reso più civile, più cristiana e più umana la nostra convivenza''. Il nostro Paese ''vi ringrazia uno per uno, è il mondo intero che ha bisogno di persone come voi, che ogni giorno donano qualcosa di eterno''. E per questo difficile compito, ha sottolineato Pelvi, ''non bastano le parole, occorre l'impegno concreto e costante dei responsabili delle nazioni, ed è necessario soprattutto che ogni persona sia animata dall'autentico spirito di pace''. ''Non possiamo - ha concluso l'arcivescovo - aspettarci che una società mondiale pacifica emerga da sola dal tumulto di una spietata lotta di potere: dobbiamo lavorare, fare sacrifici e cooperare per costruire una comunità internazionale stabile e pacifica''.
"Fuggire? Gesù diede la vita""Molti chiedono perché ci ostiniamo ad esporci in terre così pericolose, ma allora non si potrebbe rimproverare anche a Gesù di aver cercato la morte, affrontando deliberatamente coloro che avevano il potere di condannarlo?'', ha detto l'ordinario militare. ''Perché non fuggire?'' ha domandato Pelvi. ''Gesù non ha cercato la morte, non ha però neppure voluto sfuggirla, perché giudicava che la fedeltà ai suoi impegni fosse più importante della paura di morire''. Anche noi, ha aggiunto Pelvi, ''non possiamo rassegnarci alla forza negativa dell'egoismo e della violenza, non dobbiamo abituarci ai conflitti che provocano vittime e mettono a rischio il futuro dei popoli''. Di fronte a ''minacciose tensioni, discriminazioni, soprusi e intolleranze religiose'', Miotto ci ha insegnato, ha detto Pelvi, ''come poter credere ad un domani di pace''.
"Un profetico testamento"Il caporal maggiore per il giorno della Festa delle forze armate, il 4 novembre, ''aveva scritto una lettera al sindaco di Thiene sulla sua esperienza in Afghanistan. Un messaggio che inaspettatamente è diventato profeticamente testamento, capace di condensare la ricchezza umana che egli lascia a tutti noi''. E' uno dei passaggi dell'omelia dell'arcivescovo militare durante la celebrazione dei funerali del giovane alpino. Di Matteo, Pelvi ha ricordato ''l'amore alla vita, l'amore per ogni vita, quella dilatazione del cuore ordinata e virile, che si riversava su coloro che avvicinava, anche nelle inevitabili angustie e tra gli spettacoli più angosciosi dell'Afghanistan''. Si tratta, ha aggiunto Pelvi, ''di una realtà interiore, di una felice dimensione della sua personalita''', e dei sentimenti e ''della fede schietta dell'alpino, sempre pronto a spezzare il suo corpo come fosse pane e distribuirlo ai piccoli abbandonati''. L'ordinario militare ha ricordato l'esperienza di Miotto ''alla scuola di don Gnocchi'', dove ''Matteo aveva imparato che non possiamo dare vita ad altri senza dare la nostra vita''. Matteo, ha aggiunto, ''ha sempre creduto nella giustizia, nella verità e nella forza interiore della compassione, nella fiducia e nell'amore fino a dare la vita''. Da questo giovane, ha concluso Pelvi, arriva un invito ''a non cedere allo sconforto e alla rassegnazione''.
"Morto per la pace"''Il nostro Matteo è stato chiamato a partecipare all'umana solidarietà nel dolore diventando un agnello che purifica e che redime secondo l'amorosa legge di Cristo, un sacrificio offerto per il dono della pace'', ha detto il vescovo militare Vincenzo Pelvi. ''La sua bara, avvolta nel Tricolore, è come una piccola ma preziosa reliquia della redenzione che si rinnova nel tempo''. Rivolgendosi direttamente al giovane, concludendo l'omelia, Pelvi ha detto: ''carissimo Matteo, a nome della nostra patria, di tutti i tuoi amici, degli alpini, di coloro che ti hanno voluto bene e che tu hai tanto amato, noi di diciamo grazie, angelo del dolore innocente, per averci resi tutti capaci di bontà, di amore e di speranza e per avere reso più civile, più cristiana e più umana la nostra convivenza''. Il nostro Paese ''vi ringrazia uno per uno, è il mondo intero che ha bisogno di persone come voi, che ogni giorno donano qualcosa di eterno''. E per questo difficile compito, ha sottolineato Pelvi, ''non bastano le parole, occorre l'impegno concreto e costante dei responsabili delle nazioni, ed è necessario soprattutto che ogni persona sia animata dall'autentico spirito di pace''. ''Non possiamo - ha concluso l'arcivescovo - aspettarci che una società mondiale pacifica emerga da sola dal tumulto di una spietata lotta di potere: dobbiamo lavorare, fare sacrifici e cooperare per costruire una comunità internazionale stabile e pacifica''.
"Fuggire? Gesù diede la vita""Molti chiedono perché ci ostiniamo ad esporci in terre così pericolose, ma allora non si potrebbe rimproverare anche a Gesù di aver cercato la morte, affrontando deliberatamente coloro che avevano il potere di condannarlo?'', ha detto l'ordinario militare. ''Perché non fuggire?'' ha domandato Pelvi. ''Gesù non ha cercato la morte, non ha però neppure voluto sfuggirla, perché giudicava che la fedeltà ai suoi impegni fosse più importante della paura di morire''. Anche noi, ha aggiunto Pelvi, ''non possiamo rassegnarci alla forza negativa dell'egoismo e della violenza, non dobbiamo abituarci ai conflitti che provocano vittime e mettono a rischio il futuro dei popoli''. Di fronte a ''minacciose tensioni, discriminazioni, soprusi e intolleranze religiose'', Miotto ci ha insegnato, ha detto Pelvi, ''come poter credere ad un domani di pace''.