Maxiprocesso alla camorra di Torre Annunziata: 7 secoli di carcere ai Gionta
Doveva rappresentare il ko definitivo al clan Gionta e ai gruppi alleati dei Chierchia e dei De Simone. Il primo round del processo “Alta Marea” si è chiuso invece con 73 condanne, a pene ridotte rispetto alle richieste della Dda, e ben 37 assoluzioni. Circa sette secoli di carcere sono stati inflitti a capi, gregari, narcotrafficanti ed estorsori al soldo del clan Gionta, in particolare della famiglia che aveva trasformato Palazzo Fienga nella sua roccaforte. Un fortino inespugnabile fino al maggio del 2007 e a quel 4 novembre del 2008, quando gli agenti del commissariato di polizia di Torre Annunziata e della Squadra Mobile di Napoli, strinsero le manette ai polsi di un centinaio di presunti affiliati alla cosca dei Valentini.
Ieri mattina, al termine del processo con rito abbreviato, nell’aula bunker del carcere di Poggioreale, davanti a celle piene di detenuti (i cui familiari sono rimasti in attesa all’esterno della struttura) il gup Vincenzo Caputo del Tribunale di Napoli ha pronunciato il verdetto, accogliendo solo in parte le severe richieste formulate nel corso della requisitoria dal sostituto procuratore della Dda, Pierpaolo Filippelli. Tutti condannati i componenti della famiglia Gionta. Quattordici anni di reclusione al boss Valentino, stessa pena per il figlio primogenito Aldo (in realtà 30 anni in continuazione con una precedente sentenza del 2002). Venti anni di carcere a Pasquale Gionta, il reggente dell’organizzazione a partire dal 2005 (con la collaborazione del braccio destro Gennaro Longobardi, che ieri ha incassato 18 anni). Anche le donne del clan aveva un ruolo determinante per la gestione degli affari illeciti, in primis il traffico di droga, la rete dello spaccio e infine il racket delle estorsioni. Dodici anni è la pena che dovrà scontare Gemma Donnarumma, moglie di Valentino Gionta; dieci alla figlia Teresa.
Nel ‘sistema Gionta’ un ruolo di primo piano era ricoperto da Umberto Onda (condannato a 16 anni di reclusione), latitante fino allo scorso mese di giugno, lo stesso Longobardi, Aldo Matrone (13 anni e 10 mesi) e Giovanni Iapicca (16 anni e 8 mesi). Gabriele De Felice, ritenuto il ‘consigliere’ di Pasquale Gionta, secondo quanto emerso dalle intercettazioni ambientali a Palazzo Fienga, è stato condannato a sei anni e otto mesi di reclusione.
Ieri mattina, al termine del processo con rito abbreviato, nell’aula bunker del carcere di Poggioreale, davanti a celle piene di detenuti (i cui familiari sono rimasti in attesa all’esterno della struttura) il gup Vincenzo Caputo del Tribunale di Napoli ha pronunciato il verdetto, accogliendo solo in parte le severe richieste formulate nel corso della requisitoria dal sostituto procuratore della Dda, Pierpaolo Filippelli. Tutti condannati i componenti della famiglia Gionta. Quattordici anni di reclusione al boss Valentino, stessa pena per il figlio primogenito Aldo (in realtà 30 anni in continuazione con una precedente sentenza del 2002). Venti anni di carcere a Pasquale Gionta, il reggente dell’organizzazione a partire dal 2005 (con la collaborazione del braccio destro Gennaro Longobardi, che ieri ha incassato 18 anni). Anche le donne del clan aveva un ruolo determinante per la gestione degli affari illeciti, in primis il traffico di droga, la rete dello spaccio e infine il racket delle estorsioni. Dodici anni è la pena che dovrà scontare Gemma Donnarumma, moglie di Valentino Gionta; dieci alla figlia Teresa.
Nel ‘sistema Gionta’ un ruolo di primo piano era ricoperto da Umberto Onda (condannato a 16 anni di reclusione), latitante fino allo scorso mese di giugno, lo stesso Longobardi, Aldo Matrone (13 anni e 10 mesi) e Giovanni Iapicca (16 anni e 8 mesi). Gabriele De Felice, ritenuto il ‘consigliere’ di Pasquale Gionta, secondo quanto emerso dalle intercettazioni ambientali a Palazzo Fienga, è stato condannato a sei anni e otto mesi di reclusione.
E’ caduta, invece, l’accusa di essere i promotori del traffico di stupefacenti a carico di Carmine Romeo, autotrasportatore di Pompei, e sua moglie Francesca Cipriano, difesi dagli avvocati Nicolas Balzano e Massimo Autieri: la condanna rispettivamente è di 15 e 10 anni, a fronte dei 20 anni a testa richiesti dalla Dda. Per molti altri sono cadute le aggravanti del contesto mafioso e dell’associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti. Tra questi ci sono Mario Donnarumma, narcos delegato ai rapporti con la Puglia e la costa adriatica (condannato a 8 anni), i pusher Gennaro Tessitore, Giuseppe D’Acunzo e Salvatore Richiamo (difesi dall’avvocato Rosario Piombino), condannati a 6 anni e 8 mesi.
Altro settore di incassi per il clan Gionta era il racket. Gli esponenti della cosca del Quadrilatero imponevano una tangente a commercianti, imprenditori e professionisti in occasione di Natale, Pasqua e Ferragosto. I ras del pizzo accettavano sia soldi che ‘contributi in natura’, costringendo ristoratori e negozianti a fornire bottiglie di spumante, alimenti, pesce o capi di abbigliamento. Sono stati condannati per l’estorsione ad una stazione di servizio: dieci anni ad Amedeo Raia e Liberato Guarro. Poi otto anni a Guglielmo Arcobelli e quattro anni a Carlo Caglia Ferro, accusato dell’estorsione ai danni di una pescheria.Condanne anche per gli esponenti del gruppo dei “Fransuà”, neo alleati dei Gionta dopo il matrimonio della figlia di Giuseppe Chierchia con il primogenito di Aldo Gionta. Il gup Caputo ha inflitto una pena di nove anni e quattro mesi a Marianeve Chierchia, sorella di Giuseppe e Alfonso, condannati rispettivamente a 16 anni e dieci anni e otto mesi. Nell’ambito del gruppo della Provolera è stato condannato a sette anni di carcere anche Francesco Colasante, accusato dai pentiti di essere uno dei gestori dello spaccio per conto dei Fransuà. Più assoluzioni che condanne, invece, per i componenti del gruppo dei De Simone, specializzati nel traffico internazionale di stupefacenti. Gaetano Di Ronza ha incassato una condanna a 7 anni di reclusione, Mario Iovine a 8, Michele e Francesco De Simone a nove anni e quattro mesi. Infine, i pentiti: Aniello Nasto è stato condannato a 8 anni, Vincenzo Saurro a 4 anni e 8 mesi.